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Celesti come lo zolfo che brucia

Dopo circa un ventennio, dall’ultima apparizione a Napoli a Movimento Aperto di Ilia Tufano, Vittorio Avella riemerge dalle brume di nebbie e vapori sempre presenti in tanti suoi lavori, a Frame Ars Et Artes di Paola Pozzi [ Corso Vittorio Emanuele n. 525 ] – con trenta acqueforti e acquetinte realizzate nell’arco degli ultimi anni, come sempre curatissime nel segno e nello sviluppo di cromie struggenti.

I suoi temi restano legati ad una forza di gravità permanente, nel cuore segreto delle tracce a lui care ed
amate; la natura nel suo sviluppo preda del suo sguardo alchemico, la figura, in lontane apparizioni come sgranature della memoria ribelle che non cede al tempo e all’oblio, specchi d’acque con cieli frastagliati e forme che diresti si inabissano nel liquido mare, e talvolta, risvolti più concettuali di atmosfere accennate, ma gravide di presagi.

Tutta la storia artistica di Avella è racchiusa in una pratica espressiva senza sosta, senza indugi e
ripensamenti, anche quando il suo fare ha assunto nei decenni la forma de Il Laboratorio, con Tonino
Sgambati suo sodale di antichi cammini, entrambi porto sicuro per schiere di artisti italiani e stranieri,
desiderosi di produrre Cartelle e libri d’artista, mai ha dimenticato [ e come avrebbe potuto ] il suo
cammino dall’Accademia di Belle Arti di Napoli a Parigi, dove sostò molti anni, il suo praticantato di fede e speranza nel cambiamento sociale, l’impegno politico e la militanza, infine il suo ritorno gravido di conseguenze, alla terra natia patria di Giordano Bruno. Dove molte polveri rapidamente presero fuoco.

Ci sono tutti i dati per scrivere un grande racconto di viaggio, un giorno bisognerà farlo camminando sui passi di Vittorio, si potranno incontrare come in un prezioso vademecum protagonisti assoluti della ricerca artistica napoletana, campana, italiana, e stranieri – richiamati a Nola dal fascino alchemico delle preziose carte d’Amalfi schiacciate dal torchio, ma anche scorgere i poeti che non hanno mai fatto sentire la loro mancanza, compagni di viaggio e come scriveva Dario Bellezza [ 1944 – 1996 ] “ i poeti animali parlanti sciagurano in versi profumati – nessuno li legge, nessuno li ascolta. Gridano nel deserto la loro legge di gravità “ necessari come l’aria che respiriamo, per le loro premonizioni.

Infine potresti avere per le mani tante incisioni di autori diversi, ma quelle di Avella le riconosceresti senza indugio e senza ombra di dubbio; il segno incisorio e disegnativo si espande sulla lastra per fecondare un corpo nuovo di zecca, che sale verso l’alto come nebbie prossime all’alba e si mostra inviolato, un orizzonte che è solo suo, che la preziosa carta imbevuta trattiene e restituisce, come luogo magico in cui l’infinito si esprime attraverso il finito, cioè la vita e la cultura.

E se dovessi, in chiusura di questa breve nota, indicare una immagine che mi è cara come il suo autore F. Nietzsche, farei ricorso alla vista dall’alto dalla sua camera ribattezzata Denkstube [ pensatoio ] sul Lago dei Quattro Cantoni nei pressi di Lucerna, ospite di Wagner [ Aprile 1872] – quando rimirando le acque annotò “ celesti come lo zolfo che brucia “.

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